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Cos’è la Banca della terra?
La Banca della terra è uno strumento che mira al recupero e alla valorizzazione delle terre abbandonate e non utilizzate. La Banca contiene un inventario completo e aggiornato continuamente dell’offerta dei terreni e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata disponibili per operazioni di affitto/locazione o di concessione. Periodicamente si pubblicano degli avvisi per assegnarli ai soggetti che ne fanno richiesta, come prima detto, prevalentemente attraverso concessione in uso, locazione o affitto, ma in taluni casi, le banche della terra mettono anche in vendita alcuni terreni.
Gli obiettivi generali, garantendo la manutenzione dei terreni, sono quelli di contenimento e/o prevenzione del degrado geologico-ambientale del territorio, salvaguardandone l’integrità idrogeologica. Gli obiettivi specifici sono quelli della realizzazione e della tutela di interessi ambientali, sociali, economici e occupazionali delle comunità locali.
Le Banche della terra possono essere istituite a vari livelli: comunale, regionale o nazionale.
Come funziona l’inserimento dei terreni privati in una Banca delle terre?
Tutte le leggi istitutive delle Banche regionali della terra e quella istitutiva della Banca nazionale delle terre abbandonate e incolte (ex art. 3 della legge n.123/2017) fanno riferimento anche a terreni e immobili privati. L’inserimento dei terreni privati negli elenchi della Banca della Terra avviene su base volontaria, in apposita sezione: sulla base di richieste da parte di soggetti terzi, il terreno viene affidato in gestione con contratto di diritto privato.
Che differenza c’è la Banca delle terre abbandonate e incolte ex art. 3 del II° DL Mezzogiorno e la Banca delle terre agricole gestita da ISMEA?
Le Banche della terra possono essere costituite a vari livelli: comunale, regionale o nazionale.
Negli ultimi anni, per es., un numero sempre maggiore di amministrazioni regionali ha emanato leggi relative a “Banche della terra”, con l’obiettivo di costituire inventari completi e aggiornati dei terreni e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata che possono essere messi a disposizione di terzi tramite operazioni di affitto o di concessione. La prima amministrazione in Europa che ha istituito una Banca delle terre, dotandosi di una normativa specifica nel 2012 è stata la Regione Toscana, seguita dalla Campania nel 2013 e da altre 7 regioni nel 2014 (Veneto, Lombardia, Liguria, Umbria, Molise, Puglia e Sicilia), a cui si sono aggiunte nel 2015 Abruzzo, Marche e Provincia di Trento, nel 2016 Basilicata e Lazio e nel 2017 la Regione Calabria. Con l’eccezione della Liguria, in tutti gli altri casi non è prevista la vendita del bene, ma la concessione in uso dei terreni con contratti di durata medio-lunga (almeno 10 anni, rinnovabili).
La Banca delle terre abbandonate e incolte ex art. 3 del II° DL Mezzogiorno (legge n.123\2017) e la Banca delle terre agricole gestita da ISMEA, sono entrambe istituite a livello nazionale.
Parzialmente differente è l’oggetto:
- la Banca nazionale delle terre abbandonate e/o incolte ex art. 3: riguarda i terreni e le aree dimesse ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico-ricettivo (e relative unità immobiliari) di cui siano proprietari i Comuni delle 8 Regioni del Mezzogiorno. Tali beni, una volta identificati, possono essere assegnati in concessione, a seguito di avviso pubblico sulla base di un progetto di valorizzazione presentato da giovani tra 18 e 40 anni. E’ previsto altresì che i proprietari privati interessati chiedano volontariamente l’inserimento dei propri terreni negli elenchi della BdT: in tal caso, sulla base di proposte di valorizzazione da parte di soggetti terzi, il terreno viene affidato in gestione con contratto di diritto privato;
- la Banca nazionale delle Terre Agricole ISMEA: la BdT delle terre agricole istituita presso l’ISMEA (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) ha la finalità di costituire un inventario completo della domanda e dell’offerta dei terreni agricoli che si rendono disponibili anche a seguito di abbandono dell’attività produttiva e di prepensionamenti. E’ alimentata sia con i terreni derivanti dalle attività fondiarie gestite dall’ISMEA, sia da quelli appartenenti a Regioni e Province Autonome o altri soggetti pubblici interessati a dismettere i propri terreni (da notare che, in caso di richiesta d’acquisto effettuata da giovani, è prevista la possibilità di richiedere un mutuo ipotecario e che le risorse finanziarie derivanti dalla vendita dei terreni sono finalizzate esclusivamente a interventi in favore dei giovani).
Differente è la finalità:
- la Banca nazionale delle terre abbandonate e/o incolte ex art. 3 identifica i terreni da concedere in concessione o in uso con contratti di affitto e/o locazione
- la Banca nazionale delle Terre Agricole” ISMEA riguarda terreni di proprietà di enti interessati a dismettere i propri terreni
Terreni di proprietà comunale che fossero gravati da uso civico, possono comunque essere “immessi” nella Banca della Terra”?
Il progetto SiBaTer non ha una finalità puramente “economicistica” o “produttivistica”, seppure la creazione di posti di lavoro assume uno dei connotati più qualificanti. La valorizzazione delle terre incolte ben può armonizzarsi con la conservazione dell’identità storica di un territorio e dell’identità collettiva della popolazione residente che la abita.
Quando parliamo di uso civico, oggi, ferma restando la produzione normativa stratificata nel tempo, possiamo fare riferimento ad una recente legge organica che prende esplicitamente in considerazione i dominî collettivi, la n. 168 del 20 novembre 2017 e che presenta una sua forza abrogatrice delle disposizioni legislative anteriori che possano porsi in contrasto con essa.
Di particolare interesse sono:
a) l’art. 2, comma 4, che recita:«I beni di proprietàcollettiva e i beni gravati da diritti di uso civico sono amministrati dagli enti esponenziali delle collettività In mancanza di tali enti i predetti beni sono gestiti dai comuni con amministrazione separata. Resta nella facoltà delle popolazioni interessate costituire i comitati per l’amministrazione separata dei beni di uso civico frazionali, ai sensi della legge 17 aprile 1957, n. 278». Quindi, se nel Comune interessato non ci sono questi comitati civici, l’Amministrazione locale ha tutto l’interesse ad affermare che tutti i residenti di quel Comune sono titolari dei diritti di uso civico su tutti i terreni interessati da tale retaggio storico e che i loro interessi sono amministrati dal Comune il quale provvede a gestire con obbligo di rendiconto e con la massima trasparenza i proventi di quei terreni, in modo compatibile con le finalità sociali proprie degli usi civici (pensiamo a spese di manutenzione delle infrastrutture ambientali o alla difesa del suolo dal dissesto idrogeologico, ma non escluderei la devoluzione dei proventi a famiglie in stato di indigenza, poiché la finalità storica dell’uso civico era proprio quello di dare un sostentamento a famiglie nullatenenti). Non si può escludere, tuttavia, ma lo possiamo ritenere improbabile in un piccolo comune di due o tremila abitanti, che sussistano usi civici che per la conformazione dei luoghi possano essere fruiti solo dagli abitanti di una determinata frazione o caseggiato (pensiamo ad un corso d’acqua utilizzabile per irrigare solo determinati terreni, è un esempio molto particolare, seppur preso in considerazione dall’art. 3, comma 1, lett. f) della legge 168);
b) l’art. 3, comma 7, secondo il quale«Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni esercitano le competenze ad esse attribuite dall’articolo 3, comma 1, lettera b), numeri 1), 2), 3) e 4), della legge 31 gennaio 1994, n. 97(zone montane). Decorso tale termine, ai relativi adempimenti provvedono con atti propri gli enti esponenziali delle collettività titolari, ciascuno per il proprio territorio di competenza. I provvedimenti degli enti esponenziali adottati ai sensi del presente comma sono resi esecutivi con deliberazione delle Giunte regionali»Se il Comune interessato è collocato in zona montana può sicuramente avvalersi di questa facoltà, ma il discorso non cambia di molto per i comuni non montani.
c) l’art. 3, comma 8, che recita:«Negli eventuali procedimenti di assegnazione di terre definite quali beni collettivi ai sensi del presente articolo, gli enti esponenziali delle collettivitàtitolari conferiscono priorità ai giovani agricoltori, come definiti dalle disposizioni dell’Unione europea vigenti in materia». Qui abbiamo la conferma che l’utilizzo in agricoltura del terreni gravati da uso civico è senz’altro consentita, e tale previsione viene rafforzata dalla preferenza che va accordata ai giovani agricoltori.
Ai fini della partecipazione ad un bando ministeriale, possono le amministrazioni comunali adottare delibera consiliare, con la quale aderiscono oppure manifestano l’interesse ad aderire a una forma associativa che prevede la partecipazione di uno o più partners privati, senza aver adottato alcuna procedura di evidenza pubblica per la selezione del partner privato?
Le Amministrazioni comunali possono confidare, con ragionevole sicurezza, sulla legittimità delle rispettive deliberazioni di adesione alla forma associativa che include un partner privato, destinate alla partecipazione ad un bando pubblico, nello specifico un bando del MIPAAF che prevede la selezione di proposte progettuali per la costituzione di forme associative o consortili di gestione delle aree silvo-pastorali, per le quali è prevista l’assegnazione di finanziamenti.
Ciò anche in assenza di una procedura ad evidenza pubblica di selezione del partner privato.
A sostegno di tale conclusione militano innanzitutto le ragioni di urgenza legate al termine perentorio per la presentazione della domanda di partecipazione e il fatto che il partner privato, in questo caso una società cooperativa di professionisti, assume il ruolo di promotore/sollecitatore della partecipazione dei Comuni e non può essere assimilato a quello di un qualunque appaltatore. Quand’anche non bastassero questi argomenti è sostenibile la tesi che in caso di successo dell’iniziativa, l’utile economico che l’operatore privato ne ricava non grava sui bilanci dei singoli Comuni e, in ogni caso, non dovrebbe superare la soglia che permette alle Amministrazioni pubbliche gli affidamenti diretti nel campo degli appalti (quarantamila euro). In ogni caso dunque non appare ravvisabile una lesione della libertà di concorrenza tra imprese che si possano considerare competitor del partner privato.
Quanto ai rapporti interni tra i soggetti partecipanti alla “cordata”, appare consigliabile regolare con lo strumento dell’Accordo di Programma previsto dall’art. 34 del TUEL. La giurisprudenza amministrativa ha oramai chiarito che la partecipazione dei soggetti privati alla sottoscrizione dell’Accordo di Programma è ammissibile, soprattutto se il privato svolge un ruolo indispensabile per la buona riuscita dell’iniziativa.
Per approfondimenti e riferimenti normativi, scarica il documento completo.
Quali procedure applicare per la regolarizzazione di immobili privati occupati da opere pubbliche o materialmente adibiti a servizi pubblici?
La regolarizzazione degli immobili privati occupati da opere pubbliche o materialmente adibiti a servizi pubblici può essere affrontata attraverso due strumenti istituiti dalla legge per l’ “operatività” delle Amministrazioni pubbliche. In entrambi i casi è necessario che gli immobili da acquisire al patrimonio comunale siano regolarmente accatastati.
Preliminarmente va ricordato che l’istituto dell’accessione invertita è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo ed è stato oramai ampiamente disconosciuto dalla giurisprudenza italiana.
Ciò che, invece, è consentito alle Amministrazioni locali è l’acquisizione postuma che si realizza attraverso l’art. 42-bis del Testo Unico espropriazioni “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, commi da 1 a 8 (articolo introdotto dall’articolo 34, comma 1, legge n. 111 del 2011). L’Amministrazione, seguendo le indicazioni della normativa di cui sopra potrà emettere un atto ablativo nel quale dovrà ripercorrere tutte le circostanze che hanno condotto all’occupazione del bene (art. 42 bis, comma 4) e dovrà chiarire se il proprietario inciso dal trasferimento coattivo è stato già pagato oppure no.
Se non è stato pagato gli si offre l’indennità omnicomprensiva anche del disagio legato all’occupazione senza titolo. Se è stato già soddisfatto nelle sue ragioni, oppure gli era stata comunicata la liquidazione di un’indennità ma non aveva fatto tempestivamente ricorso, gli si potrà offrire un ristoro simbolico, tipo dieci o cinquanta euro lordi (oltre quanto già liquidato, ma non pagato).
Il provvedimento andrà notificato all’ultimo domicilio conosciuto dei proprietarî, registrato con imposta fissa (€ 200,00) oppure proporzionale e trascritto nei registri immobiliari. E’ possibile registrare e trascrivere il provvedimento di acquisto in unico contesto con il programma Unimod-client dell’Agenzia delle Entrate.
L’acquisto dovrà essere preceduto da una deliberazione consiliare, a meno che in una precedente deliberazione l’Amministrazione abbia già preso la decisione di espropriare il terreno nei suoi programmi di realizzazione delle opere pubbliche. Questa procedura non richiede il consenso del proprietario che subisce la spoliazione del bene.
Quando, invece, l’Amministrazione abbia un consenso alla cessione di un bene formalmente intestato ad un privato, ma posseduto o adibito ad un pubblico servizio per venti anni si può ricorrere alla procedura disciplinata dall’art. 31 , commi 21 e 22, della legge 28 dicembre 1998 n. 448 che così recita:
«In sede di revisione catastale, è data facoltà agli enti locali, con proprio provvedimento di disporre l’accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, previa acquisizione del consenso da parte degli attuali proprietari. La registrazione e la trascrizione del provvedimento di cui al comma 21 avvengono a titolo gratuito».
La procedura precede l’acquisizione al protocollo di una dichiarazione dell’ultimo proprietario di voler cedere il bene previo riconoscimento del possesso ultraventennale da parte della collettività. La dichiarazione sarà accompagnata dalla scheda catastale del bene e dalla copia digitalizzata o scansionata di un documento d’identità del dichiarante. La dichiarazione dovrà essere poi recepita in una deliberazione consiliare.
Entro 30 giorni dalla seduta, essendo irrilevante la pubblicazione in albo pretorio, la deliberazione deve essere registrata e trascritta, anche utilizzando unimod client o altro programma aggiornato dall’Agenzia delle Entrate.
Con riferimento alla domanda se la procedura può essere utilizzata anche per terreni occupati da opere pubbliche va precisato che l’Agenzia delle Entrate e la Conservatoria dei registri immobiliari di norma non entrano nel merito del provvedimento amministrativo se la legge ne prevede espressamente (come in questo caso) la trascrivibilità. L’Amministrazione fiscale non può imporre una modifica e correzione di un provvedimento presentato alla registrazione e trascrizione, al massimo, se lo ritiene necessario, potrà pretendere una tassa per il bollo.
In questo caso il passaggio di proprietà è dovuto al possesso ultraventennale da parte della collettività, mentre la deliberazione comunale, che recepisce la dichiarazione del privato, ha semplicemente carattere ricognitivo.
Ricordiamo, infine, l’importanza di inserire nel Documento unico di programmazione, per sua caratteristica ad aggiornamento dinamico, gli obiettivi di ampliamento e razionalizzazione del patrimonio immobiliare.
Nei casi in cui il proprietario del terreno occupato sia sconosciuto o ha fatto perdere le proprie tracce può essere sufficiente una deliberazione ricognitiva della proprietà, suscettibile di trascrizione anche in assenza del soggetto Contro, come indicato nei materiali dei kit e dei vademecum di SIBaTer, disponibili nella sezione Materiali del sito di progetto
In questo caso specifico, è anche altamente consigliabile prendere contatti con la Conservatoria, data la irritualità della procedura.
Quali Enti a livello statale, regionale e comunale hanno competenze amministrative in materia di terreni gravati da uso civico? E in particolare, a chi spettano le competenze in materia di sclassificazione delle terre ad uso civico?
- Le competenze amministrative che una volta erano attribuite al Ministero dell’Agricoltura, oggi si intendono devolute alle Regioni, quindi anche quelle relative alla sclassificazione delle terre ad uso civico.
- Laddove sussistono vincoli archeologici, le competenze relative alla tutela del vincolo spettano alle Soprintendenze competenti per territorio del Ministero per i Beni ambientali e culturali.
- Le competenze di tutela dei vincoli paesaggistici che spettano sempre al MIBACT, non vanno confuse con le competenze delle Regioni riguardanti i mutamenti di destinazione d’uso sempre nel rispetto dei vincoli paesaggistici.
- La sclassificazione di un bene demaniale può essere disposta dall’ente proprietario, ma al termine di un’istruttoria che dia conto dell’effettiva perdita di funzione della demanialità a livello economico e sociale e dell’interesse pubblico al passaggio di un bene dal demanio al patrimonio, dimostrando che la riduzione di un bene demaniale a bene di diritto privato porta dei vantaggi alla collettività.
È possibile inserire nella piattaforma webgis SIBaTer (mappatura terreni/fabbricati presenti sul territorio comunale), immobili che non sono di proprietà comunale, in quanto mai volturati allo stesso, ma di cui il Comune detiene il possesso?
La piattaforma webGis – contenente la mappatura georeferenziata di diversi terreni e fabbricati censiti nell’ambito delle azioni di supporto SIBaTer – è un sistema informativo, che restituisce diversi strati informativi territoriali, strumentale alle politiche di pianificazione territoriale delle Amministrazioni comunali , ma non fa prova della titolarità dei diritti reali.
Quindi, per correttezza verso chi consulta la suddetta banca dati, il Comune potrebbe inserire la dicitura : “in possesso dell’Amministrazione locale – in corso la procedura per il passaggio di proprietà“.
Al fine di perfezionare il passaggio di proprietà, il Comune può utilizzare strumenti consensuali o strumenti autoritativi: tra i tanti, lo “strumentario SIBaTer” propone la deliberazione ex art. 58 DL n. 112/2008 quale atto unilaterale soggetto a voltura e trascrizione; oppure la deliberazione di recepimento della dichiarazione riguardante il possesso ultraventennale a favore della collettività.
È possibile avviare il processo di valorizzazione di beni comunali nell'ambito della Banca delle terre comunali attuata con SIBaTer, anche se si tratta di beni non inseriti nell'ultimo piano delle alienazioni e valorizzazioni approvato dal Comune?
Il censimento di SIBaTer e il piano delle alienazioni e valorizzazioni dei beni comunali viaggiano su binari paralleli e autonomi.
Nel momento in cui l’Amministrazione decide quale impiego fare delle terre oggetto di censimento, le inserisce nel Documento unico di programmazione, che è un documento ad aggiornamento dinamico nel corso del mandato del Sindaco. Naturalmente si dovrà distinguere in base ai riflessi attesi in bilancio: ci saranno entrate attese (ad es. canoni di affitto o di concessione) oppure previsioni di spesa (ad es. costi e manutenzioni). In via prudenziale si potrà anche affermare che l’impiego del terreno comunale sarà redditizio, ma non si è in grado di prevedere in quale misura, poiché l’Amministrazione vuol dare prevalenza ad obiettivi di coesione sociale legati all’impiego degli immobili (ad es. affidamenti a cooperative no profit per iniziative per disabili o soggetti fragili).
È infine sempre possibile, rispetto al processo di valorizzazione in discorso, adottare una deliberazione (di giunta o di consiglio) in forma autonoma. Se l’Amministrazione decide di vendere o costituire un usufrutto o diritto di superficie sui terreni, la competenza a deliberare è riservata all’organo consiliare.